L’informazione come merce (avariata?)

Maggio 15, 2007

Ieri sulla prima pagina di Repubblica on line campeggiava il titolone “Gheddafi è in coma” ma poi telefona a Prodi :“Sto bene”.

Il mio primo pensiero, lo confesso, è stato: e chissenefrega? Gheddafi che telefona a Prodi per dirgli che sta bene è una notizia da prima pagina? Non so, non mi pare. Nei TG si è poi visto Prodi giulivo che riceve “in diretta” sul telefonino la telefonata di Gheddafi. Un finto comatoso che telefona a un comatoso vero, Prodi, è una notizia? Ma in che paese siamo?

Il giorno dopo su Radio24 sento nel notiziario che il coma di Gheddafi avrebbe messo in allarme “tutte le diplomazie del mondo”. Le diplomazie! Mi sono detto: quanti, come me, avranno pensato ancora “chissenefrega”?

Poi mi è venuto in mente di aver letto da qualche parte che praticamente tutti i giornali campano in gran parte con la pubblicità: cioè buona parte del loro guadagno non deriva più, come accadeva un tempo, dalle copie vendute ma dagli inserzionisti pubblicitari. La percentuale è, se non ricordo male: circa 60% pubblicità e 40% venduto.

Riferisco di queste notizie sparse, senza un legame apparente, perché poi capita che le “aggrego“ per conto mio, come le tessere di un mosaico che riesco a vedere, anzi a intuire, solo parzialmente ma mai nella sua completezza.

In ogni caso, il ragionamento successivo che ho fatto è: dunque per l’editore l’inserzionista è più importante del lettore. Quindi quando leggiamo un qualsiasi giornale, credo dovremmo tenerne conto.

Funziona allo stesso modo, forse anche peggio, per le tv: inserzionisti e sponsor (cfr. politici) sono molto più importanti del telespettatore. Per questo ci tocca vedere in prima pagina Gheddafi che telefona a Prodi o 13 minuti di “Family Day” in apertura del TG3, piuttosto che un’inchiesta sul carovita o sui monopoli che ci succhiano il sangue.

La politica usa i giornali come clava contro gli avversari e per orientare l’opinione pubblica. I cosiddetti “editori puri” si sono estinti : dietro a giornali e tv ci sono oggi gruppi economici i cui interessi primari non hanno nulla a che fare con l’editoria. I politici tengono al gancio l’editoria soprattutto coi finanziamenti statali. Quanti giornali dovrebbero chiudere senza le generose prebende di Stato? Giornali come “Libero” (sic!), “Il Foglio” o anche “L’Unità”? Tutto si tiene.

Il ragionamento finale al quale sono arrivato, spero non troppo banale, è che… l’informazione è diventata una merce come un’altra. La mania dei gadget regalati coi giornali ne è la triste conferma. Perché mai dovrei comprare un giornale col profumo, l’ovetto a sorpresa o la videocassetta?

Che il prodotto informazione sia buono o scadente importa sempre meno. Ciò che conta veramente è una cosa sola: vendere. O no?

2 Responses to “L’informazione come merce (avariata?)”


  1. Il giornalista ha il proprio codice deontologico.
    Non è semplice barcamenarsi.
    Del resto l’alternativa qual’è?
    Gli insersionisti o i partiti? scrivere edulcorando le notizie o non scrivere più?

    Chi comincia a fare il giornalista lo fa con entusiasmo, poi prova a scrivere qualcosa di troppo coragioso e gli cassano l’articolo… la volta dopo ha già capito cosa fare, ma bisogna pur campare a questo mondo.

  2. Cristian Says:

    A me ciò che ha fatto ridere è che Gheddafi, dopo aver starnutito ripetutamente per l’ennesimo colpo… d’aria, abbia prontamente chiamato Prodi per rassicurarlo sulle sue condizioni di salute.

    Immagino che informare Prodi sulle proprie condizioni di salute, rivesta per Gheddafi importanza primaria…

    Ma che caxxo dite???!!!


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