Tempi moderni
settembre 10, 2009
Ho preso una multa col radar, la famosa “trappola” del Radar di Egna (è nato un comitato di protesta che ci ha fatto addirittura un sito). Andavo alla folle velocità di 88 km/h su una tangenziale rettilinea e deserta dove c’era un limite improvviso di 70 km/h. Tenuto conto della tolleranza del radar del 5%, fanno ben 13 km/h oltre il limite consentito. Multa di 168 euro e via 5 punti dalla patente.
Alle Poste, dove sono andato a prendere la raccomandata, dopo una coda di 20 minuti l’impiegato ha rintracciato faticosamente la raccomandata dopo 10 minuti di ricerche. Per la verità prima in precedenza ho perso due ore per andare alle poste centrali, perché sul talloncino non c’era scritto che avrei potuto ritirarla nell’ufficio periferico.
Mi hanno dato una graziosa busta verdolina, contenente 4 fogli scritti fitti fitti fronte e retro, in italiano e tedesco. E un modulo col quale devo comunicare alla Polizia di Egna, con raccomandata, chi guidava la macchina, accludendo una fotocopia della patente, fronte/retro. Sul modulo da riempire devo apporre una scritta di mio pugno “il sosttoscritto nato a… residente a” eccetera eccetera, con firma in originale. Se non provvedo a comunicare i dati entro 60 giorni è prevista una pena pecuniaria di di 263 euro.
La notifica, se non pago entro i termini, costituisce titolo esecutivo per la riscossione coatta del debito (pignoramento). Ho ritirato la busta, firmando vari moduli, mentre l’impiegato dava vigorose timbrate, facendo rimbombare il banco e l’ufficio, su una serie di talloncini.
Ma non è della multa che voglio parlare. Stamattina alle poste ho fatto un’altra carta postepay. Sulla prima mi hanno ciulato 50 euro e così voglio “neutralizzarla”. Mi danno 4 fogli informativi scritti fitti fitti e un modulo da riempire per la prima carica. Hanno già tutti i miei dati ma bisogna di nuovo compilare il modulo: “io sottoscritto.. nato a… residente a… ” con documento di identità tipo….numero… rilsaciato a… da… in data…”, con numero fiscale….. Consegno la carta d’identità, che l’impiegata provvede a fotocopiare, e il talloncino verde del codice fiscale, che avevo con me per puro caso (sennò la tipa mi rimandava a casa).
Mi danno dei moduli da firmare 4 volte (firmi qui, qui, qui e qui), poi la dichiarazione per la privacy, altre due firme. Infine mi consegnano 2 buste, una con la carta postepay, l’altra col “codice segreto”. Pago anche una bolletta, e ogni volta resto sempre affascinato dall’impiegata che, dopo aver fatto passare il modulo nella macchinetta, prende la metà di un foglio A4 tagliato a mano, e con le forbici lo ritaglia ancora a metà e lo infila nella stampante per stampare la ricevuta. Ho pagato col bancomat, alle poste ne hanno uno speciale tutto loro, coi tastini che spesso si inceppano. Tempo per tutta l’operazione: circa un quarto d’ora.
Un’altra cosa fantastica è il pagamento delle bollette in banca: che però bisogna pagare “cash”, la banca infatti non accetta il bancomat, neppure il suo! Cosi l’altro giorno ho dovuto uscire dalla banca, ritirare i soldi col bancomat della banca stessa, tornare dentro, rifare la fila e pagare finalmente, trionfante, la bolletta. Sono i nostri tempi moderni. Ma si può?
Sono uscito pensando che questo paese è irrimediabilmente perduto. Anche perché se automatizzassero tutte queste operazioni inutili e demenziali, con sprechi di carta assurdi, e soprattutto che fanno perdere un sacco di tempo a un sacco di persone, per esempio il timbratore poderoso che timbrava le buste con l’inchiostro con energici “sbam!”, esattamente come nell’Ottocento, sarebbe probabilmente a spasso.

Pagare le notizie? Ah ah
Maggio 27, 2009
Anna Masera su La Stampa si chiede, o meglio chiede ai suoi lettori, se sarebbero disposti a pagare le notizie. L’interrogativo, peraltro ormai annoso, è stato rilanciato dal convegno annuale organizzato dall’Osservatorio Permanente Giovani Editori.
I responsabili dell’informazione italiani si sono dimostrati d’accordo. “L‘era delle news gratis è vicina al tramonto”, “L’informazione non a pagamento è insostenibile” hanno affermato Giancarlo Cerutti, presidente del Sole 24 Ore, e John Elkann che guida l’Editrice La Stampa. Dello stesso parere anche Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere della Sera. «Credo che pagare le news online sia la strada da percorrere», ha esordito Elkann. D’accordo Cerutti, ma il presidente del Sole 24 Ore è cauto. Difficile, spiega, che «si possa passare da tutto gratis a tutto a pagamento. Insomma, il passaggio dovrà essere graduale». Una possibile ricetta arriva da De Bortoli. Il direttore del quotidiano di via Solferino ipotizza una «sfida dei micropagamenti» che potrebbe «riuscire a dare all’utente un servizio personalizzato».
Se De Bortoli fosse un blogger, qualcuno gli darebbe retta? E quanti lettori avrebbe? Qualcuno darebbe retta a uno come John Elkann, che ha avuto l’unico merito, perlomeno finora, di nascere nella famiglia giusta? Ma siccome De Bertoli dirige il Corrierone, ed Elkann guida l’editrice La Stampa, c’è un sacco di gente che pende inutilmente dalle loro labbra. E così i giovani editori si dimostrano uguali a quelli vecchi, anzi peggiori. Perché non hanno ancora capito che ragionano su un mondo ormai in estinzione, dove i “media mainstream” come i loro non hanno futuro, campano solo perché sovvenzionati dai finanziamenti pubblici e perché organici in qualche modo allo status quo. Chi mai pagherebbe on line i loro giornali zeppi di “notizie” di cui non frega niente a nessuno? Non hanno capito che quella che loro considerano “informazione”, è in realtà una sbobba che nessuno è disposto più a ingurgitare, per di più a pagamento.
Ormai la gente si informa altrove, le fonti di informazione, ma soprattutto di commento alle notizie, si sono moltiplicate all’infinito, i vecchi giornali o si rifondano da zero o non hanno futuro. Come ha scritto Clay Shirky “La società non ha bisogno dei giornali, ha bisogno di giornalismo“. Parole sante. Per quel che mi riguarda, non spenderei un centesimo per la Stampa o il Corriere a pagamento. Pago invece, e con piacere, per un giornale come quello di Massimo Fini, “Il Ribelle“, perché penso mi aiuti a capire qualcosa della realtà che mi circonda: questo mi serve, un giornale utile per me e non per chi confeziona veline governative.
La prova che in Italia non si è ancora capito ancora nulla dell’andazzo generale è che, mentre in tutto il mondo chiudono i giornali di carta e aprono quelli on line, da noi chiudono quelli on line, come Panorama (che paraltro faceva decisamente schifo).
Con la carta Postepay delle Poste Italiane si può, tra le altre cose, ricaricare il telefono senza alzare il culo dalla sedia. Comodo. Peccato che il sito delle Poste sia quanto di più farraginoso si possa concepire. Per poter fare la ricarica ci vogliono 12 noiosissime operazioni:
1) caricare la home page di poste.it
2) fare il login (chissà perché la pagina non si ricorda mai i dati)
3) cercare il link “postepay” (segue spataffiata di descrizione della carta)
4) accedere al servizio postepay (ancora!)
5) scegliere il servizio “ricariche telefoniche”
6) scegliere il gestore di telefonia
7) immettere i dati della carta (ecché palle: n. carta, scadenza (mese e anno), numero sicurezza
8) inserire il numero di telefono da ricaricare
9) scegliere l’importo della ricarica
10) confermare l’importo (cavolo, l’ho appena scelto!)
11) eseguire il pagamento
12) attendere la pagina finale di conferma ricarica
Da notare che se per disgrazia casca la connessione o si inceppa qualcosa, o non siete abbastanza rapidi (ci dev’essere un timer che fa scadere la connessione), dovete rifare da capo tutta la trafila. Se volete controllare, nella stessa sessione, il saldo della carta, bisogna reintrodurre i dati della medesima, anche se avete una sola carta! Per poter usare la carta postepay online bisogna ovviamente registrarsi al sito, che è di una complicazione assurda e per la quale bisogna chiamare il call center per farsi spiegare come cancellare a mano i cookie (?). Ma perché?
Possibile che un colosso come Poste Italiane non sia capace di fare un sito decentemente usabile?
Un’altra incomprensibile rottura di scatole è ricaricare la carta negli uffici postali: non possono usare la postepay come fosse un bancomat? No, bisogna riempire un modulo a mano! E bisogna anche avere sottomano il codice fiscale e un documento di identità. Potrei capire se fosse per prelevare denaro, ma anche per mettercelo!