Villaggio senza mosche
aprile 24, 2009
“Più o meno gli darà la stessa impressione che suscitarono le capanne di sterco e fango dei Samburu a una dottoressa svizzera, inviata dall’Organizazzione Mondiale della Sanità in Kenia. La accompagnavo, durante la micidiale carestia del 1984, a visitare i villaggi abbandonati dei pastori. Le mosche erano dappertutto. La signora arricciava il naso, mi guardava con rimprovero e criticava l’igiene dei Samburu, gente che mette le vacche in casa per sentirsi bene con il mondo. A un certo punto trovammo un villaggio senza mosche. La dottoressa svizzera mi indicò le coperture delle capanne, che erano di plastica, ricavate dai teloni blu e gialli degli aiuti umanitari. “Vede che se si impegnano riescono a tenersi puliti? Niente mosche qui”, commentò.
“Mi stia a sentire”, risposi, “niente mosche significa niente merda; niente merda vuol dire che le vacche sono morte; niente vacche, niente latte. Niente latte, tutti morti. Io preferisco la merda e le mosche, signora.”
(da Niente, p.166, di Alberto Salza, antropologo)
Ultimo libro di Salza: “Niente. Come si vive quando manca tutto“.
Antropologia della povertà estremaEditore: Sperling & Kupfer 2009
