Marrazzi amari
ottobre 24, 2009
La penosa vicenda che ha travolto Piero Marrazzo induce a qualche riflessione. Fermo restando che ciascuno, nella sua vita privata, fa quel che gli pare -anche se magari ci sarebbe da chiedersi se sia moralmente accettabile che un uomo, e a maggior ragione se uomo pubblico e di potere, sfrutti delle prostitute- quello che più colpisce nel suo caso, come in altri, è la doppiezza di certi personaggi impegnati in politica.
Che mostrano una faccia in pubblico, mentre in privato ne hanno un’altra, poco edificante e inconfessabile. Sul sito della Regione Lazio, si legge nella biografia di Marrazzo: “La famiglia è la sua vera grande passione. Ha tre figlie: Giulia , Diletta e la più piccolina, Chiara. Con loro e con Roberta, la donna della sua vita, passa tutto il tempo libero”.
Non proprio tutto, a quanto pare :). La domanda sorge quindi spontanea: ci si può fidare di un politico che si presenta con una faccia che non è la sua? Ingannando cioé i cittadini? Per questa e non per altre ragioni, Marrazzo si dovrebbe dimettere. Negli USA, scandali molto meno peggiori di questo non lasciano alcuno scampo.

Il posto fisso di Vespa
ottobre 23, 2009
Credo sia difficile trovare qualcuno che apprezzi il giornalismo di Bruno Vespa, contraltare pubblico di Emilio Fede nel privato. Questi due giornalisti sono ormai diventato il simbolo, a torto o a ragione, del giornalismo più deteriore, ruffiano e servile.
Nonostante questo la Rai, da anni, ha affidato al conduttore di Porta a Porta il monopolio dell’informazione di approfondimento su Rai Uno, la rete ammiraglia della Rai. In questo modo Vespa ha acquisito un potere enorme, che gli deriva per l’appunto dal fatto di gestire uno spazio così importante sulla principale rete di Stato come se fosse suo. Non contento di questo, Vespa si fa pagare uno stipendio faraonico: un milione e seicentomila euro l’anno. Insomma anche lui ha capito da tempo, come tanti altri supergiornalisti e forse prima di tutti, che il “posto fisso”, meglio ancora nell’ente pubblico e anche se nascosto sotto la foglia di fico di un contratto da esterno, è una pacchia come poche altre. Ma da quanti decenni Vespa lavora in Rai?
A qualcuno però sfugge che senza l’enorme spazio che gli è generosamente concesso sulla televisione di Stato, Vespa sarebbe ricondotto a più miti consigli e, soprattutto, a più modeste pretese, economiche e non. Senza l’occupazione in pianta stabile dello spazio serale su Raiuno, Vespa perderebbe gran parte del suo “appeal”, che in realtà è funzionale, più che gli utenti del servizio pubblico, ai partiti che spadroneggiano in Rai e che hanno bisogno del megafono permanente di Porta a Porta.
Anche ieri, per dire, abbiamo dovuto vedere Clemente Mastella che si difendeva dalle accuse che hanno travolto la moglie, Sandra Lonardo. Ma in quale altro paese del mondo il marito di un indagato, ed ex ministro, va sulla rete di Stato per difendere la moglie coinvolta in un’inchiesta ancora in corso su raccomandazioni e appalti pilotati?

Esportare la democrazia
settembre 22, 2009
Agghiacciante video su come sono addestrati, e come uccidono, i soldati americani in Iraq. Insomma su come noi occidentali esportiamo la democrazia negli altri paesi…

Sultanato o satrapia?
giugno 19, 2009
Francamente non si sa più cosa pensare riguardo al puttanaio, letteralmente, che sta uscendo dalle faccende più o meno private di Silvio Berlusconi. Il problema è che tutto è così orribilmente ingarbugliato che, fare delle distinzioni tra i conflitti di interesse, tra pubblico e privato del premier, è diventato ormai impossibile, un’impresa vana, velleitaria e in fondo inutile.
Berlusconi ha trasformato la politica italiana in un immondo blob dove tutto si mescola e in cui non si capisce più nulla. E questo, agli italiani, sembra in fondo interessare poco. Non è chiaro se perché sono stomacati, hanno altro a cui pensare o, più semplicemente, perché se ne fregano.
E così si è instaurata, tra le rispettabili democrazie occidentali, questa specie di sultanato o satrapia in piena Europa che ci rende lo zimbello del mondo civilizzato. Certi che il “Berlusconistan” con cui si sbeffeggia il nostro paese su qualche giornale straniero, non durerebbe una sola settimana altrove (per non parlare della tanto decantata democrazia americana), ma che da noi appare quasi come una cosa normale, una rassegnata neccessità per tirare avanti in qualche maniera, insomma per tirare a campare.
Paura del cittadino
aprile 24, 2009
Non so se le norme permettono la ripresa video durante i consigli comunali, provinciali o regionali che siano. A me sembra assurdo che durante una seduta del consiglio che è pubblica, un cittadino non possa riprendere con la telecamera i cosiddetti “rappresentanti del popolo”. Spesso è invocato il rispetto della privacy dei consiglieri, o altre assurdità prese a pretesto per vietare le riprese. Ma di cosa si vergognano? Com’è noto Beppe Grillo ha lanciato la campagna “Fiato sul collo”, con la quale si invitano i cittadini ad armarsi di telecamera e andare nei consigli della propria città per documentare il lavoro dei politici. Che c’è di male? Che c’è di strano?
Eppure si nota spesso una curiosa ritrosia dei politici a farsi riprendere nell’esercizio delle loro funzioni. Diciamo pure che non di rado si tratta di un’aperta ostilità. Il che è piuttosto strano perché normalmente il politico ama farsi vedere: anzi egli ha bisogno “dell’immagine” come un pesce ha bisogno dell’acqua per vivere.
La prova è lo sgomitamento quotidiano dei politici per andare in tv, a tutte le lore e in qualsiasi tipo di programma, anche se non c’entra nulla con la politica. Si sono visti noti politici farsi tirare le torte in faccia pur di apparire in televisione (Mastella e Di Pietro al Bagaglino, se non ricordo male).
Curiosamente, il politico locale è molto più guardingo. Qualcuno ha detto che la democrazia non è possibile su larga scala, è solo una presa in giro. La democrazia ha un senso solo nelle piccole o piccolissime comunità, composte grosso modo da cento persone al massimo. Perché solo così vi è un rapporto diretto tra il rappresentante e il rappresentato, un effettivo controllo di chi è delegato a decidere. Ma quando il politico sta a Roma, o peggio ancora a Bruxelles, chi l’ha mai visto o conosciuto? Si accresce la distanza fisica e nello stesso tempo si diluisce il senso della democrazia basato sulla rappresentanza, per cui l’unico rapporto tra l’elettore e l’eletto è spesso solo quello televisivo.
Il politico locale preferisce mostrarsi quando vuole lui. Perché se qualcuno lo vede in tv nella routine quotidiana, magari in comportamenti poco o per niente coerenti con quanto affermato pubblicamente nelle campagne elettorali, cioè al di fuori delle condizioni più favorevoli, potrebbe rischiare di farsi tirare il collo appena esce per strada.
PS: nel video l’indecorso divieto ai cittadini di riprendere durante il consiglio comunale di Vittorio Veneto
Democrazia?
novembre 7, 2008
La democrazia rappresentativa, la liberaldemocrazia, «la democrazia reale», quella che concretamente viviamo, è una parodia, una finzione, un imbroglio, una truffa. E un ingegnoso sistema per metterlo nel culo alla gente, e soprattutto alla povera gente, col suo consenso.
Perché non è la democrazia. Ma un sistema di minoranze organizzate, di oligarchie, politiche ed economiche fra loro strettamente intrecciate, legate spesso a organizzazioni criminali e, in parte, criminali esse stesse, che opprimono l’individuo singolo, che rifiuta di infeudarsi, di sottomettersi ad umilianti assoggettamenti, di baciare babbucce, e cioè proprio quell’ uomo libero di cui il liberalismo voleva valorizzare capacità, meriti, potenzialità e che sarebbe il cittadino ideale di una democrazia, se esistesse davvero, e che ne diventa invece la vittima designata.
In proposito la scuola elitista italiana dei primi del Novecento (Vilfredo Pareto, Gaetano Mosca, Roberto Michels) ha detto parole definitive muovendo alla democrazia rappresentativa obiezioni che in seguito nessuna alchimia giuridica è riuscita a superare.
Scrive Gaetano Mosca ne La classe politica: «Cento che agiscano sempre di concerto e d’intesa gli uni con gli altri trionferanno sempre su mille presi uno a uno che non avranno alcun accordo fra di loro». Il voto del cittadino singolo, libero, non intruppato, si diversifica e si disperde, proprio perché libero, laddove gli apparati dei partiti prima scelgono i candidati e poi, facendo blocco, anche gli eletti (nel sistema maggioritario o nel proporzionale con liste di preferenza preordinate, come quello adottato recentemente in Italia, non devono prendersi neanche questo disturbo: gli eletti sono scelti e calati direttamente dall’ alto). Il voto di opinione, cioè quello veramente libero, non ha alcun peso rispetto a quello organizzato. Lo stesso Norberto Bobbio, che pur ha dedicato tutta la sua lunga vita allo studio e alla difesa della democrazia, è costretto ad ammettere: «Oserei dire che l’unica vera opinione è quella di coloro che non votano perché hanno capito, o credono di aver capito, che le elezioni sono un rito cui ci si può sottrarre senza danni».
Con le elezioni, falsate in partenza perché le minoranze organizzate prevalgono sulla maggioranza dei cittadini singolarmente presi, le oligarchie politiche si impadroniscono innanzitutto dello Stato e delle sue Istituzioni attraverso le quali esercitano un potere formalmente legale, ma sostanzialmente arbitrario, per il modo con cui è stato ottenuto, che è la fonte delle ulteriori sopraffazioni sul cittadino. Infatti le oligarchie possono agire anche in quella vastissima area grigia, che non è legale ma neanche apertamente illegale, e quindi inafferrabile, degli abusi e dei soprusi contro i quali il cittadino è privo di difesa proprio a causa della loro indeterminatezza giuridica e perché è un isolato. Si pensi, per fare solo due esempi, a tutto il sistema clientelare organizzato dalle oligarchie e intorno ad esse col quale si favoriscono i propri adepti e seguaci a danno e mortificazione degli altri, oppure, specialmente in Italia, all’occupazione della tv di Stato ad opera dei partiti.
Infine i membri delle oligarchie possono operare nell’ombra, del tutto fuori dalle leggi o in contrasto con esse, cioè in maniera inequivocabilmente criminale, sicuri di una sostanziale impunità grazie all’intreccio di interessi che legano il mondo politico, economico, finanziario, bancario, giornalistico e i loro attori che, nell’insieme, costituiscono una vera e propria classe di privilegiati, anzi l’unica classe rimasta su piazza dopo lo sbiadirsi delle contrapposizioni fra le vecchie categorie di Destra e Sinistra e, sociologicamente, l’omologazione della popolazione in un indistinto ceto medio. Questa classe, divisa al proprio interno dalla lotta per la spartizione del potere, si ricompatta immediatamente, per un riflesso di autoconservazione, di fronte al pericolo, quando contro di essa o alcuni dei suoi esponenti di rilievo si profili l’intervento della Magistratura per richiamare anche costoro al rispetto di quella legge che obbliga tutti gli altri.
Non esistono giudici a Berlino. E anche qualora esistessero verrebbero resi innocui e ricondotti rapidamente all’ordine, come è avvenuto con Mani Pulite, o, uscendo dalla tinozza italiana, com’è stato per Chirac o Giscard d’Estaing che fu pescato, a suo tempo, a farsi regalare dei diamanti dal cannibale Bokassa (indagine partita da un’inchiesta del «Canard Enchaìné») e che oggi ritroviamo nelle vesti di principale estensore della Costituzione europea. E se per caso i magistrati si intestardiscono a voler considerare la democrazia rappresentativa e la loro funzione di garanzia una cosa seria, allora ci sono le leggi a tirar fuori d’impaccio l’oligarca. E poiché il Parlamento, che è il centro del potere oligarchico, è sovrano, tutto resta nella legalità formale e democratica.
Le democrazie sono quindi delle aristocrazie mascherate. Ma con sostanziali differenze rispetto alle aristocrazie storiche. Innanzitutto quelle erano dichiarate. In secondo luogo gli appartenenti alle aristocrazie vere e proprie dovevano possedere delle qualità specifiche e ottemperare ad alcuni, e precisi, obblighi. Per limitarci al feudalesimo europeo, il nobile è colui che sa portare le armi (e per ottenere questa capacità si è sottoposto a un lungo e faticoso tirocinio), che deve difendere il territorio e amministrare giustizia nel proprio feudo. Le aristocrazie mascherate, le oligarchie democratiche non posseggono qualità specifiche, prepolitiche. La classe politica democratica e formata da persone che hanno come elemento di distinzione unicamente, e tautologicamente, quello di fare politica. La loro legittimazione è tutta interna al meccanismo politico che le ha prodotte. L’oligarca democratico è un uomo senza qualità. La sua sola qualità è di non averne alcuna. Gode dei privilegi delle aristocrazie senza averne né le caratteristiche né gli obblighi.
Il rito delle elezioni serve unicamente a legittimare le oligarchie, politiche ed economiche, a continuare a macinare in tutta tranquillità i propri interessi e i propri affari, a godere in santa pace dei propri privilegi, a danno della maggioranza della popolazione. Ha la stessa funzione dell’«unzione» del re medievale senza averne la credibilità. E al cittadino di una simile democrazia non resta che scegliere da quale oligarchia, da quale aristocrazia o meglio mediocrazia, preferisce essere oppresso, umiliato, offeso e, sempre più spesso, anche sbeffeggiato.
da “Il Ribelle” di Massimo Fini, Marsilio editore
PS: Massimo Fini ha fondato un nuovo giornale, Il Ribelle. Penso che mi abbonerò