Televisivamente parlando non c’è partita: Renzi in questo tipo di confronti serrati vince su Bersani abbastanza facilmente. Anche se non stravince. Vediamo come è andato il confronto andato in onda sulla Rai ieri sera.

Bersani: vestito di marrone (Aldo Grasso dice che il vestito era blu, ma evidentemente col fondale rosso l’effetto era diverso), è apparso stanco, moscio. Tono confidenziale terra terra, paternalistico (chiamava “Matteo” il rivale), aria di sufficienza. Il tentativo di rivitalizzare l’eloquio con metafore sgangherate non è stata una buona idea: nessuno ha capito quella del passerotto in mano e il tacchino sul tetto (?). Troppo vago sulle cose da fare, con enunciazioni fiacche usando spesso gerundi e congiuntivi, con loffie esortazioni tipo “bisogna far qualcosa per”, “dare un po’ di lavoro”, espressioni di chi naviga a vista o, peggio, appare già rassegnato a tirare a campare.
Insomma un’aria di vecchio che non suscita nessun entusiasmo. Sarà anche “usato sicuro” ma è noioso, anzi vagamente deprimente, senza grandi speranze né tensioni ideali. Chi ne ha fin qui dei partiti difficilmente può votare Bersani, che peraltro è in politica da una vita ed ha avuto anche importanti incarichi di governo. Su questo Renzi gli ha assestato una discreta legnata quando gli ha rinfacciato “Sei stato 2.547 giorni al governo…”

Renzi: ha voluto sottolineare lo stacco, anche estetico, dal rivale, presentandosi in maniche di camicia. Il bianco spiccava sul fondale rosso, aggiungendo vivacità. Ergo: spento il segretario, luminoso lo sfidante. L’eloquio di Renzi è spigliato, chiaro e incline alla battuta. Un’altra legnata a Bersani è stata quando, sul finanziamento pubblico dei partiti, gli ha ribattuto “Certo che da Pericle a Fiorito…”. Le argomentazioni di Renzi appaiono abbastanza convincenti, con idee chiare sostenute da apprezzabili entusiasmo e determinazione. Ha sbagliato probabilmente nel tono eccessivamente ossequioso: “Massima stima per il segretario”, “Grande rispetto per Bersani”… Insomma non puoi proporti come il rottamatore e poi quando sei lì, quando ce l’hai davanti, fargli le carezzine. Il rispetto per l’avversario va bene, ma un po’ di grinta in più avrebbe aiutato a vincere meglio il confronto. Per recuperare nel ballottaggio avrebbe dovuto mostrare forse meno riverenza.

Così tutto il confronto è in realtà apparso quasi come una messa cantata un po’ noiosa, un aumma aumma sottotraccia abbastanza deludente e a tratti fastidioso. Di sicuro il confronto non ha spostato molti voti. Una considerazione finale per il format Rai, decisamente migliore di quello, terrificante, da “quizzone” che si è visto su Sky. Discreta la conduzione della Maggioni.

Voti:
format: 6
Maggioni: 6
Renzi: 7
Bersani: 5

Alla fine il colpo da KO non c’è stato. McCain è partito all’attacco fin dall’inizio, ma Obama ha controllato la situazione parando i colpi con calma e autorevolezza. Il vecchio senatore repubblicano dopo la prima mezz’ora però s’è ammosciato, e il confronto è diventato piuttosto noioso, con continue citazione di cifre che per il grosso pubblico sono ormai prive di significato, pure astrazioni: chi è in grado di immaginare o quantificare i 700 miliardi di dollari del piano di salvataggio delle banche?

Stavolta i due contendenti erano seduti allo stesso tavolo, quasi faccia a faccia, in una sala con un pubblico scelto di “indecisi”. Curiosa la disposizione del conduttore, il giornalista Bob Schieffer, che dava le spalle agli spettatori.

“Charmant” e disinvolto come al solito Obama, con vivace cravatta rossa a righe che gli dava freschezza e spigliatezza. Pessima invece la cravatta da “vecchio” di McCain, blu con righe grigio-topo. Anche da seduto il senatore repubblicano appare molto rigido, muove le mani e le braccia come se fosse un pupazzo. Rimedia subito alla gaffe dell’altra volta, quando aveva chiamato Obama “quello lì” (that one) con una stucchevole ruffianeria dicendo “E’ bello rivedere Obama” (figuriamoci).

Il maggior difetto di McCain a mio avviso è l’essere troppo stizzoso: da uno della sua età e della sua esperienza ci si aspetterebbe maggior controllo, calma e riflessività. Invece è troppo aggressivo e sembra spesso un vecchio bilioso che non suscita troppo affidamento. Un altro errore è quello di attaccare troppo il suo rivale sul piano personale: in genere fa migliore impressione attaccare i ragionamenti piuttosto che il ragionatore. Agli elettori interessano poco le rivalità personali tra i due contendenti, preferiscono sentir parlare dei loro problemi e di come i candidati pensano di risolverli.

Obama è più abile a guardare in camera, anche se ogni tanto si dimentica di farlo. In uno studio televisivo ci sono molte telecamere, ciascuna con un compito preciso: primo piano di Obama, primo piano di McCain, primo piano del conduttore, poi inquadrature dei “totali”, campi medi eccetera. Ogni camera ha una piccola luce rossa che si accende quando il regista la manda “in onda”. Non è facile, mentre si dibatte con un avversario, seguire l’alternarsi della luce rossa che si accende da una camera all’altra (anche per le luci molto forti in studio). Quando si vuole parlare “direttamente” al telespettatore, bisogna fissare la camera in onda. McCain se ne dimentica spesso, nella foga guarda Obama o il conduttore.

Interessante osservare nei controcampi (l’inquadratura di chi ascolta) come si esprime il dissenso dell’avversario: McCain scrolla la testa o ha un ghigno sprezzante, Obama invece usa un largo sorriso. Funziona meglio il sorriso, secondo me. McCain prende spesso appunti su un quadernone, Obama no. Il non dover prendere appunti esprime in qualche modo la superiorità di chi ha una buona memoria.

Il dibattito ha avuto momento surreali, almeno per noi italiani, quando i due candidati hanno cercato di accattivarsi le simpatie di “Jo l’idraulico” (tirato in ballo parecchie volte e diventato una specie di celebrità), figura assai invisa dalle nostre parti, o quando promettevano “più sostegni ai vigili del fuoco”. Qualcosa di semplicemente incomprensibile in Italia visto che, dei vigili del fuoco, con rispetto parlando, non frega niente a nessuno (se non quando ci brucia la casa). Sarebbe assai bizzarro sentire Veltroni o Berlusconi in campagna elettorale fare promesse a idraulici e pompieri.

Per il resto normale amministrazione: McCain arruffone nei suoi attacchi disordinati e poco incisivi, Obama molto controllato, calmo e, anche in questo come nel primo e nel secondo dibattito, più “presidenziale”. Vince anche stavolta, senza strafare, questo terzo e ultimo confronto televisivo.

Obama vs. McCain

ottobre 8, 2008

Mi sono preso la briga stanotte di caricare la sveglia alle 3 di mattina (!) per vedere in diretta il confronto Obama-McCain su Rai News. Già questo piccolo fatto segna il divario di interesse tra la politica nostra e la loro: mai mi sarei alzato a quest’ora, neppure a pagamento, per vedere un confronto televisivo Berlusconi-Veltroni. La sola idea anzi mi fa venire l’orticaria.

Si è trattato del penultimo “scontro” tra i due candidati alla presidenza, prima di quello del 15 ottobre, in cui probabilmente si alzeranno ancora i toni, fini qui piuttosto sonnacchiosi. Anche in questo caso il termine “confronto” è apparso un po’ fuori luogo: i due candidati praticamente non si sono mai rivolti la parola, erano fisicamente vicini a pochi metri ma senza alcun scontro dialettico diretto.

La formula era quella di rispondere alla domande di una platea di selezionati spettatori e del conduttore. Il quale pare abbia ricevuto via mail 6 milioni di domande (!), delle quali ne sono state selezionate 6 o 7. Obama si è presentato fascinoso come al solito, sorridente, sicuro di sé, apparentemente rilassato (anche se ha bevuto diverse volte dal suo bicchiere d’acqua). McCain era più sciolto e meno controllato nell’eloquio, ma fisicamente molto rigido per via dell’età, costretto a muoversi a piccoli passettini.

La prima cosa che mi ha sorpreso è che entrambi i candidati reggevano un microfono, come se fossero dei presentatori. Una scelta incomprensibile, quasi nessuno oggi usa i microfoni a mano: entrambi, se non ho visto male, avevano anche il microfono a clip (lavalier) sul bavero. Siccome questi show elettorali sono studiati fin nei minimi dettagli, ho pensato che fosse una precisa scelta “estetica”: tenere in mano un microfono comporta una maggiore compostezza mentre si parla. Si gesticola di meno, e si elimina il problema di “dove tenere le mani“. Una mano in tasca può far sembrare disinvolto il candidato, ma anche superficiale. Una mano sul fianco può apparire indisponente, tenere incrociare le braccia dà un segnale di chiusura, tenere le mani dietro la schiena suscita diffidenza, tenerle lungo i fianchi invece può far sembrare troppo rigidi eccetera. Col microfono da tenere in mano, il “body-language”, il linguaggio del corpo, è più sotto controllo.

I due candidati avevano un piccolo tavolino per prendere appunti (una curiosità, entrambi sono mancini) e una specie di sgabellone. Saggiamente, nessuno dei due si è seduto. Anche la postura però denunciava la differenza di età: plasticamente appoggiato con eleganza Obama, quasi seduto invece, con le gambe giunte, McCain. Questi aveva buon gioco nel recitare la parte del buon padre di famiglia, dovuta più che altro ad una questione anagrafica, cercando di far pesare sul più giovane avversario una maggiore esperienza e (presunta) saggezza. In svantaggio fin qui nei sondaggi, il vecchio senatore repubblicano ha dovuto essere parecchio aggressivo nei confronti di Obama, ma i risultati sono sembrati modesti, a volte è sembrato più stizzoso che saggio. Obama pareva più posato, più autorevole, più “presidente”. Abbastanza comico quando ha dovuto ribattere, imbarazzato, ad una affermazione di McCain: “Non ho mai detto che voglio invadere il Pakistan”. Personalmente ho avuto un sussulto quando Barack ha detto, testuale, di voler “uccidere” Bin Laden. Un futuro presidente che ha nel programma quello di uccidere qualcuno, sorprende un po’, almeno noi italiani. Figuratevi se Berlusconi o Veltroni durante la campagna elettorale annunciassero di volere uccidere Amadinejahd!

A tratti il faccia a faccia francamente mi è sembrato una recita: entrambi i candidati erano attentissimi a non commettere passi falsi, a non fare gaffes, a mandare a memoria risposte evidentemente provate mille volte col proprio staff. Anche i tempi troppo ristretti, appena 2 minuti per le risposte, se da una parte agevolano la sintesi, dall’altra portano i candidati ad esprimersi per slogan. Come si fa a fare un ragionamento serio di politica estera, o di economia, in soli due minuti? E’ impossibile. Infatti la gran parte delle risposte è stata un noioso ribadire di concetti studiati a tavolino. Sui contenuti c’è poco da dire a mio parere, trattandosi appunto di pura propaganda e di generiche buone intenzioni.

E’ apparsa a tratti chiara la differenza tra la realtà italiana e quella americana. Noi ancora irrimediabilmente e incorreggibilmente ideologici (sinistra-destra eccetera), loro molto più pragmatici. L’economia, dopo il disastro delle banche e dell’economia USA, è al centro dell’attenzione di tutti, così come “l’assicurazione sanitaria” che per gli americani pare, a giudicare da domande e risposte nel dibattito televisivo, una vera ossessione.

A mio parere il confronto si è chiuso con un leggero vantaggio per Obama. La strada fino al 4 novembre, giorno del voto, è però ancora lunghissima e può succedere di tutto.